martedì, 7 maggio 2024
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Per una nuova generazione di cattolici impegnati in politica: da dove partire?
Introduzione al convegno del presidente diocesano Alberto Saccani
Saluto iniziale al convegno del Vescovo
Intervento di Edoardo Tincani, direttore de "La Libertà"
Intervento del Presidente Nazionale di AC Prof. Franco Miano

"Per una nuova generazione di cattolici impegnati in politica: da dove partire?"

Intervento di Edoardo Tincani, direttore de "La Libertà"

Sono lieto, in questo incontro pubblico, di poter smettere i panni del moderatore-equilibrista, per vestire quelli del “provocatore”. Ringrazio perciò l’amico Alberto Saccani e l’Azione Cattolica, iniziando dal suo presidente nazionale, il professor Franco Miano, per l’opportunità ricevuta: intervenire su un binomio – la politica e l’impegno dei cattolici – i cui entrambi i termini versano oggi in uno stato comatoso. La politica, con le sue parole consunte e l’incapacità, più che mai evidente nel nostro Paese, di costruire “bene comune”. Ma pure l’impegno politico dei cattolici, incredibilmente demotivato, illuso da risorgenti operazioni elitario-centriste e disperso in battaglie, forze e coalizioni liquide, tra gli estremi dell’accettazione dell’irrilevanza e di una belligerante rivendicazione identitaria.

Mi corre l’obbligo di una premessa: quanto dico stasera, come ciò che ho scritto nel libro “In politica con più fede”, uscito nell’ottobre scorso, è frutto di una mia ricerca sofferta e personale: non va identificato con alcuna posizione diocesana, né come direttore del settimanale “La Libertà”, né come capo ufficio stampa di monsignor Massimo Camisasca, che pure desidero ringraziare per la sua presenza qui.

E ora, sul pezzo. “Per una nuova generazione di cattolici impegnati in politica: da dove partire?”, chiede il titolo di questo nostro convegno.

Per me la risposta è una sola. Da dove partire? Dalla fede cristiana, quindi da Cristo e da un conseguente profondo rinnovamento nel nostro modo di concepire la politica, che va dilatato dal campanile o dal quartiere alle “periferie esistenziali” del villaggio globale.

Partire dalla fede perché è l’unica forza capace di farci uscire dai nostri schemi e da noi stessi, di farci osare strade nuove nel deserto di questo tempo depresso, di dare al mondo un volto umano e divino insieme, secondo una delle prospettive meno attuate del Concilio Vaticano II, cui pure questo Anno della fede ci richiama anche come laici, cristiani “sociali”, non solo come fedeli della Liturgia.

Partire dalla fede e non, in prima battuta, dalla formazione. Per far ri-appassionare i nostri giovani all’impegno pubblico è l’idealità, la spinta morale e vitale, che va recuperata. E come si fa a suscitarla se manca una proposta politica nuova, di dichiarata ispirazione cristiana?

C’è un grande burrone tra la grandissima elaborazione culturale e pre-politica che le aggregazioni ecclesiali continuano a produrre – a volte un po’ settoriale e schizofrenica (del tipo: “Scienza & Vita” da una parte, la salvaguardia del creato da un’altra, noi siamo per la domenica libera dal lavoro e noi per la legalità…) – e la confluenza dei valori cristiani nell’agone sempre infido e omogeneizzante della politica attiva. A più di vent’anni dall’ingloriosa fine della Democrazia Cristiana, c’è da chiedersi se la persistente e inconcludente diaspora politica dei credenti continui ad essere legittimata da una teorica e un po’ velleitaria unità sui princìpi, quando persino quelli cosiddetti “non negoziabili” hanno finito per dividerci, e ciò è accaduto dentro la Chiesa, non fuori.

Partire dalla fede proprio per ritrovare un’unità, una comunione effettiva anche sui temi politici, con un unico grande denominatore comune: la dignità della persona, che va promossa con eguale forza, si tratti di quella dell’embrione senza speranza di nascere o di quella del neo diplomato senza speranza di trovare lavoro, o dell’esodato senza speranza di ritrovarlo.

Finché la sfida di una nuova proposta politica di ispirazione cristiana non verrà lanciata, perché mancherà il coraggio di formularla (ma la fede, non è essenzialmente coraggio di affidarsi a Dio?), ci divideremo previamente su programmi e candidati “terzi” e ci rifugeremo nei tornaconti di bottega o nel disinteresse generale. Soprattutto, non potremo “mostrare” ai giovani una via praticabile di impegno politico cristianamente ispirato.

Il male del nostro tempo è la perdita della speranza nell’uomo. E per recuperarla non basta abbassare lo “spread” o diventare sempre più competitivi, restaurando la legge del più forte.

>Partire dalla fede, per una politica rinnovata, perché credo nel cristianesimo come forza popolare, ampiamente ancora inespressa – anzi repressa – in questo terzo millennio, a livello italiano ed europeo. Una forza realmente “cattolica”, cioè universale, di cui c’è molto bisogno in un mondo che non sta affatto globalizzando la solidarietà, ma corre verso una nuova disgregazione sociale e antropologica.

Partire dalla fede perché non c’è vera riforma che non nasca dal cuore umano, dalla conversione alla logica evangelica del dono, come gli ultimi Papi, fino a Francesco, ci stanno indicando con i loro documenti e i loro gesti.

Solo da questa conversione, che è frutto di una fede riscoperta e vissuta, possono arrivare in politica uomini nuovi, che cerchino la povertà, non la ricchezza; un servizio temporaneo per il bene del mondo, non un potere permanente; la compassione, non il conflitto. Questa è anche l’immagine dei “tralci”, che ho usato nel libro per descrivere i cristiani comuni che accettino di fare un passo avanti, nell’azione politica, rimanendo collegati alla Vite, che è solo Cristo.

I tempi corrono e i cambiamenti che stiamo attraversando sono troppo veloci per pensare a un’impostazione vecchio stampo per il mondo cattolico “organizzato”, in cui ogni associazione si confronta al suo interno, poi discerne, quindi stila un documento, che poi viene analizzato e condiviso con altre sigle… mentre sullo sfondo passano scelte politiche di cui dolersi e si formano coalizioni partitiche comunque insoddisfacenti…

Per questo la proposta che ho abbozzato, dirompente finché si vuole ma anche popolare e semplice nel suo impianto, è quella di una realtà politica nuova. Si potrà (si dovrebbe certamente) discutere delle forme di organizzazione e di selezione dei suoi rappresentanti, poi del problema “leadership”, sempre più delicato nella politica moderna; non dovrebbe essere in ogni caso una fotocopia della Dc (anche perché le condizioni storiche sono profondamente mutate).

È una vera proposta di azione cattolica, non in senso associativo ma più ampio. Ampio in che senso? Nel senso che lo sforzo di comunione - tra laici, cioè cristiani comuni - va fatto prima di tutto all’interno della Chiesa, impegnandosi per un tout se tient che metta assieme, e non contrapposte, le questioni “etiche” - la vita e la famiglia naturale in primis - con quelle “sociali” della promozione della giustizia, della legalità e della pace, interna e internazionale.

Sono convinto che non basti più richiamare i cattolici, ovunque impegnati, a un’unità valoriale trasversale che in 20 anni ha dato più delusioni che risultati. L’alternativa è continuare a delegare, spesso in bianco, formazioni che – tra voltafaccia e trasformismi – rinnegheranno presto il patrimonio di valori che ci s’illudeva di veder rispettato, fermandosi poi alla recriminazione sterile (i figli di questo mondo sono più scaltri, il Vangelo ci ha pure messo in guardia…).

Organizzare una nuova realtà politica a partire dalla fede significherebbe, a mio giudizio, non partire dai direttivi delle associazioni o dalle segreterie dei partiti vecchi e nuovi, o dalle intese più o meno riservate tra gerarchie ecclesiastiche e stanze dei bottoni della politica o della finanza, ma dalla consultazione popolare. Dal Movimento 5 Stelle, così come dai partiti che hanno tentato la via del rinnovamento attraverso le “primarie”, dobbiamo avere l’umiltà di mutuare certe modalità economiche di sondaggio e di collegamento.

Ma la potenza popolare del cristianesimo non potrà mai essere ridotta alla “democraticità” della Rete informatica, o a uno scambio più o meno caotico di opinioni basate sull’immagine.

Certo, non possiamo pensare che una “nuova generazione di cattolici impegnati in politica” si formi coesa e spontanea, perché troppa l’insistenza sulle diverse “anime” e “sensibilità” cattoliche, e perché troppi i giovani disinteressati o disgustati dai brutti spettacoli a cui hanno assistito nella politica di questi anni. Quindi ben vengano scuole di formazione alla Dottrina sociale della Chiesa, purché equipaggino, possibilmente, ad una coerente finalizzazione del percorso nel campo aperto e abbandonato della politica di oggi (l’ho detto, serve un punto di approdo interessante e coinvolgente). E li equipaggino anche ad una maggiore maturità nella collaborazione e fiducia nell’intraprendenza del laicato. Più che accademie siano laboratori di politica, capaci di mettersi in rete, di fare sintesi e non scalette numerate dei valori cristiani e di rispondere alla vocazione dell’unità di fede anche nel campo della politica agita.

Partire dalla fede senza integralismi, dal basso, dall’umano, in ultima analisi dai poveri, come minoranze creative che vanno a giocarsela con i partiti vecchi e nuovi senza complessi d’inferiorità, disposte a prendere la croce dell’irrisione, dell’incomprensione, del pregiudizio.

La logica dev’essere quella dei servi inutili: “Abbiamo fatto ciò che dovevamo”. Ma, mi domando: possiamo permetterci, come figli di Dio, di dire questa frase, oggi, riferita all’ambito politico? Secondo me no: ci vuole più autocritica, anche ecclesiale. Non abbiamo fatto quello che dovevamo, cioè la testimonianza pubblica, politica della nostra fede, perché abbiamo preferito altre convenienze. O per paura, cioè in fin dei conti proprio per carenza di fede.

Con questi presupposti credo - anche attraverso l’esposizione pubblica e l’azione organizzata, non solo lo studio – possa davvero “formarsi” (nel senso primigenio di nascere, uscire alla luce) una nuova generazione di cattolici impegnati in politica.

Utopia? Penso di no. Semmai una sorta di ingenuità consapevole, che somiglia molto alla fiducia nella Provvidenza cristiana, se sapremo guardare alla politica a partire non dalle promesse del mondo, ma da quelle di Colui, nostro Signore, che ci ha donato la fede. Grazie.


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