martedì, 22 ottobre 2024
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Testimoni

Rosetta e Giovanni Gheddo

Una vita per la vita

Viancino (Vc), 22 aprile 1900 – Don River, Russia, 17 dicembre 1942
Crova (Vc), 3 dicembre 1902 – Tronzano (Vc), 26 ottobre 1934

Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo, servi di Dio, sposi secondo il cuore di Dio, hanno costruito, insieme, un capolavoro di santità coniugale. Questa coppia di sposi emerge ancor più in una società mediatica e culturale, editoriale, televisiva e cinematografica dell’epoca che alcuni definiscono già «postfamiliare», che propone il matrimonio come atto fragile e costantemente in bilico. Rosetta e Giovanni offrono, in quanto testimoni del Vangelo, un modello di sodalizio sponsale dove l’amore trionfante è realmente inteso per sempre. Non hanno inseguito sogni o illusioni: il loro amore si è concretizzato in una casa solida edificata sulla roccia e che ha avuto per cemento armato la fede in Cristo. Sacrifici, dolori, tragedie sono stati sublimati sull’altare del sacramento nuziale e affrontati con lo stesso spirito che anima i martiri. Forti nella fede, sono andati incontro al trapasso terreno con estremo coraggio.

Giovanni partì per il fronte russo della seconda guerra mondiale il 10 luglio 1942. Era sereno e disse alla sorella Emma: «Non piangere, stai allegra, il Signore decide per noi e ci vuole bene». Giovanni Gheddo aveva 42 anni, tre figli e la sua amatissima moglie Rosetta era scomparsa a soli 31 anni per parto gemellare e polmonite. Eppure era tranquillo: «lasciate che io vada a difendere la nostra santa religione», rispose ai figli Mario e Francesco alla stazione di Santhià alle loro tremolanti domande: «Tu ci lasci, ma quando ritornerai? E perché vai così lontano?». Una risposta “folle” la sua… folle come l’amore che aveva per Dio, come la santità che visse insieme alla moglie Rosetta.

Vedovo, con tre bambini, parte lasciando certezze: l’amore per la consorte, tale e quale il primo giorno di fidanzamento e il primo giorno di nozze; l’amore per i figli Piero, Francesco, Mario; l’amore per la madre e le sorelle, l’amore per la sua terra. Parte con la fede in Dio per la quale sa donare tutto. Una fede semplice e matura, genuina e forte quella di Rosetta e Giovanni, una fede così grande e potente, che permette di vivere quei legami che né dolore, né morte possono sciogliere.

Rosetta e Giovani erano nati fra le risaie vercellesi, fra pioppi e voli di aironi sulle distese d’acqua abitate da carpe, tinche e rane. Rosetta era di Crova ed era venuta alla luce, seconda di quattro sorelle, il 3 dicembre 1902. Dopo aver frequentato le prime quattro classi a Crova, si trasferì a Casale Monferrato, nella cascina della sorella del nonno, zia Olimpia, vedova con 11 figli, per studiare nel collegio delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Rosetta ottenne il diploma di maestra e iniziò ad insegnare all’asilo infantile di Crova, senza alcuna retribuzione, così come fece all’asilo delle suore Salesiane, che lei stessa fece arrivare, avendole conosciute a Casale Monferrato. Lavorò, gratuitamente, anche nelle elementari per sostituire le maestre assenti. Oltre all’educazione Rosetta si dedicava al catechismo, preparando i bambini alla prima comunione e alla cresima, insegnando la dottrina cattolica agli adulti, i canti per le Messe e le processioni. Con l’arrivo delle suore Salesiane a Crova furono avviate le attività dell’oratorio femminile e quelle dell’Azione Cattolica.

Solitamente i santi nascono in famiglie dove ogni componente ha un ruolo preciso, non in famiglie “allargate”, “aperte”: Rosetta e Giovanni ebbero la fortuna di nascere e crescere in due famiglie “chiuse”, “ristrette”: tanti membri, ma un solo corpo.

Giovanni nacque il 22 aprile 1900 a Viancino da una famiglia di dieci figli. Generosissimo ed intelligente, Giovanni, terminata la prima guerra mondiale, entrò nella Regia Accademia militare di Torino per frequentare il corso allievi ufficiali, che concluse nel 1919. Venne nominato sottotenente ed inviato in «zona armistizio», perciò collocato in congedo illimitato il 31 agosto 1922. Trovò lavoro come geometra vicino ad Ivrea e in seguito venne nominato segretario del Distretto irriguo di Tronzano Vercellese. Giovanni aveva un caro amico che lavorava al Comune di Crova, perciò andava spesso a trovarlo. Passava perciò nel paese in bicicletta e gli accadeva di incrociare la maestrina Rosetta Franzi che si recava alla Santa Messa oppure all’asilo. Se ne innamorò. Si sposarono il 16 giugno 1928. Dopo il pranzo nuziale, Arturo Lancia, marito della sorella di Rosetta, Fiorenza, fece accompagnare gli sposi alla stazione ferroviaria di Santhià, dove presero il treno per Oropa. I due giovani di Azione Cattolica, lassù, dove il Santuario più alto d’Europa (1200 metri), donarono la prima notte di nozze al Signore, dormendo separati e pregando: una prova ed un voto che dimostrano di quale tempra fosse fatta la loro spiritualità. I due sposi di fronte alla Madonna Nera e al Signore domandarono due grazie: dare alla luce molti figli (si proposero di averne dodici) e che almeno uno di loro scegliesse la consacrazione religiosa. Il primogenito, Piero, che diventerà un grande missionario, giornalista e scrittore, entrerà nel Pime nel 1945 e sarà ordinato sacerdote nel 1953.

Rosetta Franzi Gheddo morì il 26 ottobre 1934, dopo due aborti spontanei, rimase infatti nuovamente incinta di due gemelli; ma al quinto mese di gravidanza si spense insieme a loro di polmonite.

Il 14 dicembre 1942, quando Giovanni Gheddo venne chiamato alle armi con il ruolo di capitano della Divisione Cosseria, iniziò l’offensiva russa fra il gelo e la neve del territorio sovietico, furono accerchiate le divisioni italiane.

Le sue lettere, sempre toccanti e colme di sentimento e di fede cristiana, non giunsero più ai familiari, ai quali verrà comunicato: disperso in Russia. Senza giorno, senza motivazione. Poteva essere perito anche in combattimento, oppure durante la marcia di trasferimento dei prigionieri o ancora in un campo di prigionia sovietico, dove si moriva di sfinimento, di fame, di dissenteria, di tifo petecchiale...

Mino Pretti, giovane avvocato, tornò dalla campagna russa vivo e fra le prime cose che fece in patria fu quella di andare a Tronzano, dai parenti di Giovanni Gheddo, il suo capitano. Ai familiari raccontò, come testimonia ancora oggi il figlio, Mario Gheddo, che il 17 dicembre 1942 il capitano aveva deciso di restare con i cannoni e i feriti intrasportabili, mandando via i militari sani, fra i quali c’era anche lui. Pretti, che aveva poco più di vent’anni, insistette per rimanere, ma Giovanni gli disse: «Tu sei giovane, devi ancora fare la tua vita. Io la mia l’ho già fatta e i miei bambini sono in buone mani [sua mamma e sua sorella]. Va’, salvati, con i feriti rimango io». Rimase fermo lì, sul posto, proprio come i suoi antenati dell’esercito sabaudo quando obbedivano al comando «bogia nen» . Ancora una volta aveva scelto il dovere, prima di tutto, perché, come diceva, convinto come l’amore che portava per il Signore e la sua famiglia: «Pazienza! Quando non c’è rimedio bisogna rassegnarsi. Siamo sempre nelle mani di Dio!».

Rosetta e Giovanni vissero in perfetta comunione di intenti, conducendo una vita di preghiera e di lavoro, dove la Messa ed il santo Rosario erano i due perni della loro quotidianità. Riconobbero il Cristo, ne parlarono alla luce, lo annunciarono sui tetti e persero la vita per Lui. Questi santi genitori hanno affidato in maniera univoca la propria esistenza al Signore, lasciando che Lui solo agisse, senza lasciarsi distrarre dalle cose del mondo. Hanno creduto senza aver visto e hanno donato se stessi per ritrovarsi nella gloria di Dio. In vita hanno arricchito la vita della propria famiglia e della popolazione di Tronzano Vercellese. Post mortem arricchiscono tutte le persone e le famiglie che vengono a conoscenza della loro unione straordinaria, del loro esempio di virtù. Vigilanti come sentinelle, Rosetta e Giovanni hanno seguito nel cuore, nella mente e nelle azioni ciò che insegna san Paolo: «State dunque ben fermi , cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Sprito, cioè la parola di Dio» (Ef 6,15-17).


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