Tra i ricordi più piacevoli di questo 29° Festincontro rimarrà certamente impresso il sorriso di Simona Atzori, ospite a Rivalta nel dopocena di domenica 16 giugno insieme a Liliana Cosi, milanese di nascita (come Simona) ma reggiana d’adozione, anche lei radiosa in volto.
Due donne straordinarie per la loro capacità di condividere nell’arte i doni ricevuti dal Signore. E il pubblico, che si schiera numeroso sulla pista polivalente parrocchiale, conferma il giudizio, partecipando all’incontro con applausi, domande, esclamazioni di apprezzamento. Qualcuno forse si aspettava anche un’esibizione sulle punte: può comunque ammirare la grazia della ballerina in un video proiettato in apertura.
E poi quei sorrisi ripagano ogni attesa: “Sorrido vivendo, amando, dipingendo, danzando”, dice Simona per presentarsi.
E sembra un’involontaria eco ai “Quattro passi” che fanno da sfondo al Festincontro di quest’anno. Si noti che i suoi sorrisi, ma lo stesso vale per quelli di Liliana, non sono scontati o innaturali, come quelli di tante meteore del circo televisivo. Sono sorrisi che conoscono bene il prezzo dei sacrifici e delle incomprensioni. Che sanno che c’è una croce da portare, ma anche un centuplo di gioia, se ci si affida al Datore di ogni vita.
Capelli ricci castani, spigliata, avvezza a “motivare” studenti, manager e impiegati nei seminari che tiene in giro per l’Italia, Simona Atzori ha fatto propria la definizione che di lei ha dato Candido Cannavò, tratta dal libro “E li chiamano disabili”: “Le sue braccia sono rimaste in cielo, ma nessuno ha fatto tragedie”.
Dirompente spontaneità di una giovane donna che, anche affrontando apertamente il tema della fede, parla di un rapporto diretto con Dio in questi termini: “Ringrazio il Signore che mi ha disegnato come sono, mi ha creato così”.
Dietro quest’esistenza realizzata e serena c’è la forza di una famiglia, e in particolare di una madre, venuta a mancare di recente, che ha accompagnato Simona nel suo modo inevitabilmente originale di esplorare il mondo: a quattro anni la bimba si avvicina alla pittura con la bocca e con i piedi come autodidatta, a sei inizia a seguire corsi di danza classica.
Così impara a fare tutto con le “mani in basso”, i “piedini magici” che sanno fare le veci degli arti superiori. Nel filmato la si vede mentre coi piedi si prende un caffè dopo aver mescolato lo zucchero, oppure guida un’utilitaria adattata, o trascorre il tempo libero con gli amici e con il suo ragazzo, un pilota d’aereo.
Ciò che impressiona di più, nella “sua” naturalezza, è quando Simona si mette a gesticolare sul tavolo, liberando i piedi dalle scarpette con gli strass: “Provate voi a tenere le mani nelle scarpe tutto il giorno!”, scherza.
Il suo curriculum conta dieci riconoscimenti internazionali, peraltro consultabili nel sito internet www.simonarte.com.
Tra le maggiori affermazioni, ci limitiamo a ricordare che nel Giubileo del 2000 Simona Atzori è stata ambasciatrice per la Danza, ballando in chiesa, con una coreografia di Paolo Londi, “Amen”, che è stata inserita nella Grande Enciclopedia Multimediale del Vaticano; l’anno dopo si è laureata in “Visual Arts” alla “University of Western Ontario”, in Canada. Nell’ottobre 2011 ha pubblicato il suo primo libro, “Cosa ti manca per essere felice?” (Mondadori), la domanda che dà il titolo all’incontro rivaltese e a quello programmato a Novellara, nel cartellone di “Sport e Benessere”, appena giovedì scorso.
La risposta a questo interrogativo, ascoltando le testimonianza di questa serata, appare piuttosto chiara: non ci manca nulla, la felicità è dentro di noi, dobbiamo solo assecondare la “vocazione” che ci viene da Dio, “tirare fuori le cose che ci servono un po’ alla volta, come dalla borsa di Mary Poppins”, e coltivare uno sguardo “costruttivo” sulla vita, pur con le sue difficoltà. Con la consapevolezza che l’unicità di ciascuno è un valore. “Perché ci identifichiamo sempre con quello che non abbiamo, invece di gioire per quello che c’è? Spesso i limiti non sono reali, ma negli occhi di chi ci osserva”, sono alcune pillole dell’Atzori-pensiero.
A dare conferma e “amplificazione” a questa filosofia, nel dialogo al femminile proposto dall’Ac, risuonano le parole di Liliana Cosi, frutto di un’esperienza più lunga e non meno internazionale, anche se assai diversa da quella di Simona.
Anche la co-fondatrice della Compagna di Balletto Classico Cosi-Stefanescu non ha paura di raccontarsi in modo molto personale: “Il mio primo miracolo è stato… nascere”, confida, ricordando la figura della madre (un’altra madre coraggio) che, in tempi di guerra, senza sicurezze economiche e con già due figli a carico scelse di non prendere le “polverine” per abortire.
È una sequenza di aneddoti edificanti, dalla scoperta della gioia di donare l’arte del balletto fino a quella, più tardiva, della fede in Cristo, scaturita per via intellettuale leggendo d’un fiato il “Dialogo della Divina Provvidenza” di Santa Caterina da Siena, ma poi vissuta imparando a riconoscere Gesù nel prossimo, come indossando “un paio di occhiali nuovi”.
La gente, probabilmente, ascolterebbe anche più a lungo, ma sono passate le 23.
Mentre gli organizzatori omaggiano le danzatrici con due mazzi di fiori, dal parterre intonano a sorpresa un “Tanti auguri a te” per Simona, in procinto di compiere gli anni, 39, a metà strada tra Rivalta e Novellara. Lei ricambia il regalo alla sua maniera: con quel sorriso che comunica meglio di ogni spiegazione il segreto della sua felicità.
Edoardo Tincani